
Nato a Bologna nel 1973, Davide Bonora è stato uno dei playmaker più rispettati e vincenti del basket italiano. Cresciuto nel vivaio della Virtus Bologna, ha avuto una lunga carriera ai massimi livelli, con esperienze a Verona, Treviso, Roma, Venezia e naturalmente alla Virtus, dove ha conquistato tutto, incluso uno storico Grande Slam nel 2001. Con la Nazionale ha collezionato numerose presenze prestigiose e ha vinto medaglie europee e mondiali, diventando simbolo di intelligenza cestistica e leadership. Oggi si divide tra la gestione del suo circolo di padel a Roma e il sogno di tornare in panchina come capo allenatore.
FS: Partiamo dalla Virtus Bologna: che cosa ha significato per te giocare in una delle piazze più prestigiose d’Italia e vincere con quella maglia?
DB: Per me fu un orgoglio e un sogno. Dopo le trafile nelle giovanili, l’esperienza a Verona e successivamente a Treviso, tornare da professionista alla Virtus Bologna, la squadra della mia città, per la quale tifavo da ragazzino, fu motivo di grande orgoglio. Il primo anno, purtroppo, fu disastroso: mi ruppi il tendine rotuleo. Il secondo anno fu quello del Grande Slam, dove riuscii a ritagliarmi un ruolo da protagonista: un ricordo bellissimo. Il terzo anno, tra alti e bassi, culminò con la finale di Eurolega persa in casa contro il Panathinaikos. Al di là dei risultati, resta un’esperienza stupenda.
FS: Tra i tanti successi in bianconero, ce n’è uno che ricordi con più orgoglio o emozione?
DB: Nell’anno del triplete, l’Eurolega fu il traguardo più emozionante. Anche con Ivanovic in panchina, fu una stagione particolare, con i playoff al posto delle Final Four. In semifinale vincemmo 3-0 il derby con la Fortitudo: tre partite storiche. La finale di Eurolega fu contro il Tau Baskonia, squadra spagnola. Curiosamente, l’allenatore era proprio Duško Ivanović, oggi alla guida della Virtus Bologna. Lo scudetto fu meraviglioso, ma in Eurolega mi sentii più protagonista, a livello personale.
FS: Anche a Venezia hai lasciato il segno: che ambiente hai trovato alla Reyer e che ricordi hai di quell’esperienza?
DB: La Reyer non era ancora la realtà vincente che è diventata poi. Arrivai a metà stagione, con l’obiettivo della salvezza. Fu promosso Bizzosi al posto di Dalmasson. Riuscimmo a salvarci con tranquillità, ma non ebbi l’opportunità di restare. Si capiva che c’era potenziale, e in effetti poi hanno ottenuto grandi risultati. Io ero già al tramonto della mia carriera.
FS: A Roma hai vissuto una fase importante della tua carriera. Che rapporto hai oggi con quella città e con la Virtus Roma?
DB: Roma è diventata la mia città: i miei figli sono nati qui, è la mia base. Con la Virtus Roma ho sempre avuto un rapporto bellissimo. Ho fatto tre anni molto belli, stavo recuperando da infortuni gravi. Potevo scegliere tra essere titolare in una squadra di medio livello o essere il cambio in una squadra più ambiziosa. A Roma ho accettato il secondo ruolo e ho giocato per obiettivi importanti. Rimane il rammarico di non aver vinto qualcosa: ci furono i presupposti, ma non riuscimmo a concretizzare.
FS: Con la Nazionale hai disputato Europei e Mondiali. Cosa ha significato per te indossare la maglia azzurra e qual è il ricordo più bello?
DB: Non ho potuto disputare le Olimpiadi a causa dell’infortunio al tendine rotuleo. Ma indossare la maglia azzurra è motivo di orgoglio per qualsiasi sportivo. A 21-22 anni ho avuto la fortuna di partecipare a due Europei e un Mondiale. Ho vinto una medaglia d’oro e una d’argento. Era una generazione speciale, con Riccardo Pittis e Claudio Coldebella. Vincere con la Nazionale è qualcosa di indescrivibile, un’emozione diversa: anche chi non seguiva il campionato si appassionava, ti faceva sentire un simbolo.
FS: Guardando alla tua carriera, c’è una scelta che rifaresti sempre? E un momento che oggi affronteresti diversamente?
DB: Da giocatore ho sempre fatto ciò che sentivo. A parte qualche incastro, ho giocato in contesti vincenti. Un grande rimpianto è stato l’infortunio: a 26-27 anni ho avuto un declino fisico, dopo la rottura del tendine, e non sono più tornato ai livelli di prima. Dopo la carriera, non ho avuto subito l’ambizione di mettermi in panchina. Ho perso tempo, forse avrei potuto arrivare ad alti livelli da allenatore.
FS: Oggi il ruolo di playmaker è molto cambiato. Come vedi questa evoluzione? Ti rivedi in qualche giovane di oggi?
DB: La pallacanestro si è evoluta rapidamente, quasi più di altri sport. Non esistono più ruoli fissi: oggi anche un numero 5 può portare palla. Conta moltissimo l’intelligenza, ma la componente fisica è diventata fondamentale. Mi piacciono molto Alessandro Pajola, che sta crescendo tantissimo in Europa, e Michele Ruzzier, che ha fatto una stagione super a Trieste. Sono giocatori che mi emozionano nel mio ruolo.
FS: Sei un grande tifoso della Fiorentina. Come hai vissuto questa stagione? Dopo Atene, credi fosse giusto separarsi da Vincenzo Italiano?
DB: La Fiorentina è una mia grande passione fin da piccolo. La seguo con affetto, anche se un risultato non cambia la mia vita. Mi piace vivere l’emozione dello stadio: ho visto partite sia all’Olimpico che al Franchi. La squadra ha fatto ciò che ci si aspetta da una realtà come la Fiorentina. Italiano faceva giocare bene, ma abbiamo perso tre finali in tre anni. È un peccato. Ora con Pioli sarà interessante vedere cosa succederà con la famiglia Commisso. È un allenatore esperto e preparato, ma soprattutto una persona di grande spessore umano: fu lui a scegliere Davide Astori come capitano, un gesto che oggi assume un valore ancora più profondo dopo la sua tragica scomparsa. La società ha fatto una scelta ben ponderata.
FS: A Bologna si è festeggiata la Coppa Italia vinta proprio da Italiano: che effetto ti fa vedere un ex allenatore viola trionfare “a casa tua”?
DB: Italiano mi è sempre piaciuto: verace, carico, positivo. Il suo calcio mi entusiasmava. Mi è dispiaciuto che il rapporto con la Fiorentina si sia incrinato. Sono contento per lui che ora abbia la possibilità di allenare il Bologna, una piazza ambiziosa, e che sia riuscito subito a vincere un trofeo come la Coppa Italia. Non era facile, soprattutto dopo l’ottimo lavoro fatto da Thiago Motta. Ringrazio Italiano per quello che ha fatto a Firenze: ci ha riportati in Europa e ha dato un’identità forte alla squadra.
FS: Attualmente di cosa ti occupi nella vita? E se ci fosse la possibilità, torneresti a ricoprire un ruolo in Nazionale?
DB: Quest’anno sono rientrato. Dopo un paio d’anni in Serie B regionale a Roma, sono stato a Scafati come assistente. Ora sono sul mercato: mi piacerebbe allenare da capo, magari in Serie B1, un campionato molto bello. Oppure fare l’assistente ad alto livello in A o A2. O, ancora, diventare capo allenatore in B Nazionale. A Roma gestisco anche un circolo di padel in modo stabile. Il mio sogno è restare nel mondo della pallacanestro e diventare capo allenatore. Mi tengo aggiornato e spero che arrivi presto una chiamata da una prima squadra. Se non dovessi trovare nulla a inizio stagione, aspetterò e valuterò le opportunità che si presenteranno.