
Figura storica del Calcio Storico Fiorentino, ex Calciante dei Rossi, allenatore e oggi impegnato nel calcio giovanile con l’Audace Galluzzo, Renzo Abbrevi è un uomo di sport che ha saputo portare nel mondo dei ragazzi valori antichi e imprescindibili come il rispetto, la lealtà e il senso di appartenenza. Lo abbiamo incontrato per parlare di calcio, ragazzi, scouting e di quella magica finale tra Rossi e Verdi.
FS: L’Audace Galluzzo è una società molto radicata nel territorio. Come la descriverebbe a chi non la conosce?
RA: Il Galluzzo è una società storica nel panorama calcistico fiorentino. Unisce alla competizione sportiva anche una forte valenza sociale. I ragazzi devono prima di tutto divertirsi, e le famiglie devono avere la certezza che i propri figli siano seguiti da allenatori competenti e attenti alla loro crescita.
FS: Lei allena gli Allievi 2010. Come si approccia al lavoro quotidiano con questi ragazzi? Cosa ritiene più importante trasmettere loro?
RA: Cerco di far capire loro che stanno attraversando una fase di crescita importante, sia fisica che tecnica. È il momento in cui devono alzare l’asticella, affrontare gli allenamenti con maggiore intensità rispetto allo scorso anno. Voglio che capiscano che l’impegno paga sempre.
FS: In qualità di responsabile scouting, cosa cerca davvero in un giovane? Cosa la fa dire “questo ragazzo può farcela”?
RA: Individuare un talento vero non è semplice. La tecnica è importante, ma è la testa a fare la differenza. La voglia di migliorarsi, l’umiltà, la capacità di ascoltare. I ragazzi oggi sono diversi rispetto al passato, e la società in cui vivono è cambiata. Purtroppo si fatica di meno, e questo si riflette anche nei livelli più alti, come vediamo con la Nazionale.
FS: Lei proviene da un contesto molto intenso come quello del Calcio Storico. Quali valori riesce ancora oggi a trasmettere ai giovani del calcio moderno?
RA: Prima di tutto il rispetto. Il Calcio Storico è un ambiente duro, ma fatto di valori e di regole non scritte. Se non rispetta l’avversario, prima o poi paga il conto. Non amo parlare del mio passato da Calciante con i ragazzi: mi sembra superfluo. Ma quasi sempre lo scoprono, e restano affascinati dai racconti. Cerco sempre di evidenziare gli aspetti positivi in comune tra i due mondi.
FS: Quanto contano le lezioni apprese in piazza quando gestisce lo spogliatoio di una squadra giovanile?
RA: Contano molto. Il gruppo è fondamentale, in entrambe le realtà. Ho allenato anche nel Calcio Storico, subito dopo aver smesso di giocare. In qualsiasi contesto, il dialogo è essenziale. Che si tratti di un bambino o di un adulto, deve sapere che Lei c’è, nel bene e nel male.
FS: Le è mai capitato di allenare ragazzi che poi ha ritrovato in piazza, come Calcianti?
RA: Sì, è successo. Alcuni erano affascinati fin da piccoli dal Calcio Storico. Alcuni mi hanno davvero sorpreso: hanno avuto la forza e il coraggio di affrontare una realtà così impegnativa.
FS: La finale Rossi-Verdi è imminente. Cosa prova nel rivedere queste due squadre storiche affrontarsi?
RA: L’emozione è sempre unica. Quando partono le musiche, il saluto, il tifo… vorresti essere lì. La finale, la vorrei giocare anche io.
FS: Ha un ricordo indelebile legato a una finale?
RA: La finale del 1979 con gli Azzurri in Boboli: perdemmo 10 cacce a 1, una vergogna sportiva. All’epoca fare così tante cacce era impensabile. E poi nel 1992, da allenatore, altra finale contro gli Azzurri: una partita durissima, persa 2 e mezzo a 1, ma giocata benissimo. Ancora oggi la ricordo con rammarico e orgoglio.
FS: Secondo lei, cosa definisce davvero un Calciante? Quali qualità non si possono improvvisare?
RA: Un Calciante vero gioca perché lo sente dentro. Per amore di Firenze, per l’adrenalina. Non per farsi vedere. Io vengo da una famiglia di Calcianti: mio padre, mio nonno, tre zii. L’ho sempre vissuto come una cosa naturale, di cuore.
FS: Se potesse entrare oggi nello spogliatoio dei Rossi prima della finale, cosa direbbe ai ragazzi?
RA: Direi ciò che dicevo da allenatore: “Oggi ci sono solo due modi per uscire da quella piazza: o con le nostre gambe o in barella. Non un passo indietro. Diamoci dentro.”