
Franco Prosperi è uno dei volti storici del Calcio Storico Fiorentino. Calciante dei Verdi per oltre vent’anni, ha incarnato lo spirito combattivo e il legame viscerale con il quartiere di San Giovanni. Uomo di cuore, istinto e battaglie vere, ha attraversato le epoche del gioco, dai tempi più crudi fino alla nuova era più regolamentata. Oggi, anche se non calca più il campo, resta una voce autorevole e appassionata, capace di leggere il presente con lo sguardo di chi ha vissuto la storia sulla propria pelle.
FS: Quando sei tornato a vedere i Verdi in finale dopo sei anni, cos’hai sentito dentro? Orgoglio, tensione, malinconia?
FP: È stata un’emozione fortissima. Dopo sei anni lontani dalla finale, tornare a vederci lì, di nuovo a lottare per la Vitella, mi ha fatto venire un nodo alla gola. C’era tanto orgoglio, perché la semifinale l’avevamo vinta con cuore e grinta, e c’erano grandi speranze. Ma anche tanta tensione, perché sai che in finale non si può sbagliare niente. E un po’ di malinconia, certo… perché da fuori ti manca il campo, ti mancano i colpi, gli sguardi, la fatica condivisa.
FS: Guardando la finale, c’è stato un momento preciso in cui hai capito che stava cambiando l’inerzia della partita?
FP: Sì, dopo il 3-3 ho pensato che potevamo davvero giocarcela. Eravamo dentro la partita, c’era ritmo e testa. Ma poi, in pochi minuti, ci siamo trovati sotto 9-3. Sei cacce di fila prese così, senza riuscire a reagire… lì ho capito che qualcosa si era spezzato, mentalmente più che fisicamente. La partita ci è scivolata via dalle mani troppo velocemente.
FS: Hai vissuto tanti Calci Storici… ma con tutte queste cacce in pochi minuti, è ancora la stessa anima del gioco o stiamo perdendo qualcosa?
FP: Stiamo sicuramente perdendo qualcosa. Il Calcio Storico non è solo fare caccia. Negli anni è cambiato: ora sembra quasi una corsa contro il tempo, appena si prende palla si va a cercare la caccia subito. Prima c’era più costruzione, si giocava la palla, si cercava il varco giusto. Ora invece si vedono troppe galoppate, poca manovra. Si rischia di snaturare l’anima vera del gioco.
FS: Fisicamente sembravamo spenti rispetto alla semifinale: solo fatica o è mancata anche un po’ di testa, concentrazione, fame?
FP: Secondo me c’era un po’ di tutto. La semifinale ci ha dato una scarica di emozione incredibile, ma ci ha anche svuotati. Era una vittoria che aspettavamo da sei anni, e forse una parte di noi si è rilassata troppo. In finale non eravamo gli stessi: meno reattivi, meno convinti, meno “cattivi”. E quando ti manca quella fame lì, in una finale non hai scampo.
FS: Oggi si parla tanto di tattica, regole, gestione… ma il Calcio Storico non era prima di tutto istinto, sguardi e battiti?
FP: Assolutamente sì. Una volta ci si capiva con lo sguardo, bastava un cenno e si sapeva cosa fare. Il Calcio Storico era fatto di cuore, istinto, conoscenza tra compagni. Oggi c’è più tattica, più tecnica, più fisicità, ma si è persa un po’ quella magia lì, quella spontaneità che faceva la differenza. Non dico che fosse meglio o peggio, ma era più “nostro”, più di quartiere.
FS: La regola del “testa a testa” ha salvato il gioco o ha messo il cuore in gabbia? Tu come la vivi da dentro?
FP: Il testa a testa è una regola fondamentale. Ai miei tempi ci si menava sul serio, le risse potevano diventare pericolose, si arrivava davvero vicino a situazioni pesanti. Questa regola ha evitato tanti danni. Non è una gabbia, è una protezione, un limite che ti fa restare dentro il gioco. Il cuore lo puoi mettere lo stesso, ma con la testa più lucida.
FS: Che cos’ha in più un Calciante Verde rispetto agli altri? È solo un colore o è uno stile, una mentalità, un destino?
FP: Per me essere Verde non è solo un colore. È uno stile di vita, una mentalità. Il Verde deve sentire Firenze scorrergli nelle vene, deve portare il suo quartiere sulla pelle. Non basta la voglia di combattere, ci vuole un senso profondo di appartenenza. Un Calciante Verde rappresenta una storia, una tradizione, una comunità. Questo fa la differenza.
FS: Cosa serve per trasformare questo gruppo da forte a vincente? Cosa manca davvero?
FP: Manca solo una cosa: vincere. Perché la vittoria ti cambia. Ti dà consapevolezza, ti fa capire chi sei. Puoi essere forte quanto vuoi, ma finché non alzi il Palio, resti a metà strada. Serve un gruppo compatto, affamato, con un solo obiettivo. E serve la mentalità giusta: quella di chi entra in campo per prendere tutto, non solo per esserci.
FS: Cosa diresti oggi a un ragazzo di 18 anni che vuole diventare un Calciante Verde? Qual è la prima cosa che deve capire?
FP: Gli direi: provaci. Vai in campo, allenati, senti l’ambiente. Ma la cosa più importante è capire che non stai entrando in un gioco qualunque. Essere Calciante è un onore e una responsabilità. Devi essere disposto a dare tutto per il tuo colore, per la tua gente. Se ti scatta qualcosa dentro, se senti il cuore battere più forte solo a vederli entrare, allora forse sei sulla strada giusta.
FS: Dopo sei anni i Verdi sono tornati a lottare per la Vitella . È una rinascita, un punto di partenza o solo il primo passo di qualcosa di più grande?
FP: È sicuramente una rinascita. Dopo il 2018, quando vincemmo con i Bianchi, non eravamo più riusciti ad arrivare in fondo. Questa finale è stata un segnale importante: siamo tornati. Ma adesso dobbiamo crescere ancora, diventare più uniti, più cinici. Deve essere solo l’inizio. Perché la vera rinascita sarà quando torneremo a vincere la Vitella