
Giovanni Prezioso, nato e cresciuto nel quartiere di San Giovanni, porta nel nome, nel sangue e nel cuore l’identità della sua gente. Figlio d’arte – il padre ha iniziato a calcare il sabbione nel 1979 – Giovanni ha respirato fin da piccolo la sabbia di Santa Croce, passando dall’essere mascotte in costume a guerriero sul campo.
Veterano con oltre un decennio di esperienza nel Calcio Storico, è un punto di riferimento per i Verdi, sia per la preparazione fisica completa – che unisce sport da combattimento, nuoto, corsa e pesi – sia per la lucidità tattica con cui gestisce il ritmo della partita. Porta la palla, guida il gioco, ma soprattutto incarna lo spirito di appartenenza e sacrificio che fa del Calcio Storico una tradizione unica al mondo.
In questa finale, che cade proprio nel giorno di San Giovanni, il suo nome e la sua storia si fondono in un destino che sa di orgoglio, di famiglia e di quartiere. Per lui, calciare il sabbione non è solo uno sport: è una missione tramandata da padre in figlio, e forse – un giorno – anche al futuro.
FS: Giovanni, siete tornati in finale dopo sei anni: che significato ha per voi questo traguardo e cosa rappresenta per il quartiere di San Giovanni?
GP: Tornare in finale è stato il compimento di anni di duro lavoro, sacrifici e difficoltà, sia sotto il piano dell’allenamento che del gruppo, perché abbiamo avuto grossi cambiamenti generazionali avvenuti da un anno all’altro e non in maniera graduale, come è successo in altre squadre. Inoltre, la partita contro gli Azzurri del 2021 ci ha penalizzato molto, con squalifiche pesanti.
FS: La semifinale contro i Bianchi è stata intensa e combattuta: quanto ha contato la vostra preparazione fisica e mentale per mantenere il vantaggio fino alla fine?
GP: La partita con i Bianchi è stata dura soprattutto a livello emotivo, perché sapevamo che non era ammesso altro risultato se non la vittoria. Fisicamente, ormai il Calcio Storico si è evoluto: non esistono partite più dure o meno dure, lì dentro è dura anche un “abbraccio”.
FS: In campo ha dato un contributo decisivo, anche in fase offensiva: come si è preparato per affrontare partite così dure, fisicamente e psicologicamente?
GP: Io faccio una preparazione a 360 gradi: sport da combattimento, pesi, circuiti funzionali, nuoto e corsa. È dal 2011 che gioco, so amministrare le tempistiche. Ho il ruolo di portare la palla, so quando è il momento per smorzare i tempi o dare un’accelerata alla partita. Oppure rallentare per recuperare. Sono tra i calcianti dei Verdi con più esperienza.
FS: Ora vi attendono i Rossi, squadra temuta per la forza fisica e la velocità d’attacco: qual è il vostro piano per contenerli e imporre il vostro gioco?
GP: I Rossi sono i campioni in carica. Hanno integrato molti giovani valorosi in un gruppo già formato e hanno avuto modo di crescere in maniera corretta. Il nostro piano sarà fermare i loro uomini di punta. In base a come andranno i primi minuti, vedremo come impostare il nostro gioco.
FS: La battuta iniziale può indirizzare l’intera partita. Quanto avete lavorato su questo aspetto e quanto pensa che influirà sull’andamento della finale?
GP: Negli ultimi anni abbiamo lavorato molto sulla battuta, su come organizzarla per prendere il pallone, perché oggi nel Calcio Storico è fondamentale: oltre a imporre il gioco, ti consente di decidere in fase difensiva come recuperare, dare tempo ai calcianti per prendere spazio e posizione o recuperare dopo un colpo ricevuto. La battuta è fondamentale.
FS: Lei e De Lucia siete stati protagonisti di ottime combinazioni nella semifinale: quanto conta l’intesa tra compagni in una squadra come la vostra?
GP: L’intesa tra compagni è l’ABC per il nostro ruolo. Devi sapere a memoria gli spostamenti del compagno e le sue doti atletiche.
FS: Cosa rende unico giocare nel Calcio Storico, dove oltre allo sport c’è una forte componente identitaria, storica e simbolica?
GP: Già il fatto che si giochi solo a Firenze e che tutto il mondo ce lo invidi la dice lunga! I costumi del ‘500, il corteo, le trombe, i tamburi e il campo stesso sono come tornare indietro nel tempo, come i gladiatori nel Colosseo. Solo che noi combattiamo per la nostra città e per il nostro quartiere.
FS: Il 24 giugno è la festa di San Giovanni: che effetto fa giocare proprio in quel giorno, davanti alla vostra gente, con tutto il quartiere che vi sostiene?
GP: Per me San Giovanni è una festività sentita, sia per il nome che porto, sia perché tutta la città si ferma. La finalissima del Calcio Storico e i fuochi la sera… Purtroppo, negli ultimi anni abbiamo fatto poche finali, motivo per cui quest’anno questa festività deve avere un altro sapore. A prescindere da come andrà, metteremo tutto quello che abbiamo.
FS: La piazza di Santa Croce impone rispetto: che emozione provi nel calcare il sabbione in un evento così carico di storia?
GP: Io sono nato lì dentro. Mio babbo ha iniziato a giocare nel 1979, mia mamma andava agli allenamenti quando era incinta di me. Fin da bambino facevo la mascotte vestito da Calciante. Ho sempre calciato il sabbione, sia quando mio babbo giocava, sia dopo. È una tradizione di famiglia. Quando non giochiamo, faccio il corteo, e ogni volta vengono i brividi. C’è tutta la parte storica, la rievocazione, la tradizione. Un giorno, se avrò un figlio, vedremo se anche lui sarà in grado di giocare con i Verdi. Perché non è una cosa per tutti.
FS: Infine, cosa vuoi dire ai tifosi dei Verdi che vi seguiranno e spingeranno durante la finale?
GP: Io ringrazio i tifosi, perché so che negli ultimi anni non abbiamo regalato molte gioie. Ci hanno sempre sostenuto, con le grida e i fumogeni anche durante il corteo. Quindi, a loro va solo un enorme grazie per la fiducia che hanno avuto. Speriamo che presto venga ripagata al meglio. Solo un grande grazie.
FS: Per quanto riguarda il calcio moderno: che squadra tifa? E che ruolo ha nella sua vita al di fuori del Calcio Storico?
GP: Naturalmente tifo la Fiorentina, sono nato Viola ed è una grossa fede. Da ragazzo andavo spesso allo stadio, poi crescendo e con il lavoro come macchinista di Trenitalia è diventato più difficile. Qualche volta ci andavo da pischello, ma col tempo ho iniziato a vederle più spesso con gli amici, a casa. La Viola resta sempre nel cuore, come una seconda pelle
Foto di Carlo Bressan