
Rocco Visibelli, classe 1992, è un difensore centrale toscano con oltre 200 presenze tra Serie C e D. Cresciuto nei vivai di Siena e Fiorentina, ha militato in numerose squadre della sua regione, vincendo campionati e vivendo spogliatoi autentici. Oggi è svincolato, gestisce l’azienda di famiglia e fa il papà, ma non ha ancora chiuso definitivamente la porta al calcio. In questa intervista racconta la sua storia, tra ricordi, riflessioni sul ruolo del difensore moderno e quella voglia di campo che non se ne va.
FS: Rocco, hai iniziato la tua carriera nelle giovanili della Fiorentina. Quanto ti ha formato quell’esperienza, calcisticamente e a livello personale
RV: Aver passato due anni a Siena e quattro alla Fiorentina ha influito tantissimo sulla mia crescita, sia dal punto di vista tecnico-tattico che personale. Vivere realtà così importanti ti fa migliorare, a patto che tu abbia una grande forza d’animo, convinzione e soprattutto voglia di sacrificarti ogni giorno.
FS: Hai giocato in molte squadre toscane, tra Serie C e D. Quali differenze hai notato tra i due campionati e come ti sei adattato?
RV: La differenza è sostanziale, soprattutto nella velocità di pensiero e nella capacità di leggere le situazioni. In entrambe le categorie ci sono giocatori fortissimi, ma in C tutto si muove più in fretta e devi essere più lucido nelle letture. Mi sono divertito tanto in C, perché ho imparato dai grandi cosa vuol dire impegnarsi per un obiettivo comune. In quegli anni si respirava un rispetto vero per i “vecchi” dello spogliatoio, e la voglia di conquistarsi il posto era fortissima.
FS: Hai collezionato oltre 200 presenze. C’è una partita o un momento che porti nel cuore più degli altri?
RV: Difficile sceglierne solo uno! Ci sono stati momenti epici, come lo scudetto con gli Allievi Nazionali nel 2009, la promozione dalla C2 alla C1 con il Prato ai playoff, oppure il gol vittoria che ci ha fatto vincere il campionato a Viareggio.
Ma più di tutto, mi porto dietro le persone. Ho avuto la fortuna di vivere spogliatoi straordinari, dove l’impegno andava a braccetto col divertimento. Sono ricordi indelebili.
FS: Oggi sei svincolato. Hai intenzione di tornare in campo o stai pensando ad altri percorsi?
RV: Ho dovuto fermarmi per motivi personali e lavorativi. Gestisco l’azienda di famiglia e con due figli piccoli gli impegni sono triplicati. Il calcio richiede tempo e dedizione, e incastrarlo non era semplice.Detto ciò, la voglia di rimettersi gli scarpini e tornare a correre, discutere, gioire… è tanta. Non ho intenzione, per ora, di cambiare ruolo nel calcio. Voglio continuare a essere un giocatore. Nella vita non si sa mai.
FS: Il ruolo del difensore centrale è cambiato molto. Come ti sei adattato al calcio moderno?
RV: Tantissimo. Io stesso sono cresciuto molto a livello mentale: nella lettura, nell’interpretazione delle situazioni. Prima era più “botte e schianti”, oggi è ancora quello… ma con molta più testa.
Il problema è che il calcio è diventato un po’ troppo perbenista. Al minimo contatto si fischia, sembra quasi che siamo fatti di burro. Invece il bello è proprio lo scontro leale, il rispetto reciproco dopo una battaglia vera.
Una stretta di mano dopo una scivolata dura vale più di mille parole. Oggi invece vedo troppi “fragilini e lamentoni”, in tutti i ruoli.
FS: Sei fiorentino. Che rapporto hai oggi con la Fiorentina? La segui ancora?
RV: Fiorentino sono e Fiorentina rimango. Per un periodo ho smesso di seguire il calcio, mi faceva male non poterlo più vivere in campo. Ma adesso la Viola la seguo eccome… e rosico come tutti gli altri tifosi!
FS:Un ricordo, particolare in Viola?
RV: Fiorentina-Liverpool in Champions. Ero in campo a sventolare il telo gigante, appena finito sono scappato fuori dallo stadio per entrare in curva Fiesole. Riuscii a trovare i miei amici in mezzo alla bolgia. Due gol di Jovetić e otto scalinate fatte di sedere per l’esultanza! Peccato per come è andata dopo… ci hanno tolto tanto.
FS: La tua ultima esperienza è stata a Rufina, con mister Luca Tognozzi. Che ambiente hai trovato?
RV: Tognozzi è una persona e un allenatore fantastico. Parla molto con i giocatori, anche a livello personale, e crea legami veri che ti fanno stare bene. Ti fa credere nel progetto e questo non è scontato.
Anche la società è seria, sempre di parola. Rufina non è proprio dietro l’angolo, ma ci sono pochissime realtà dove puoi stare così tranquillo e sereno.Fosse per me resterei con i compagni, il mister e tutto lo staff. Per ora però mi concentro sul lavoro e sulla famiglia. Ad agosto farò un punto e vedrò se riesco ancora a stare senza calcio. Nel frattempo farò il tifo da fuori. Andrò sicuramente a vederli ogni tanto